di Vera Martinella

Aumentano i casi in cui è la prima scelta. La possibilità di ricorrere ai raggi diventa una risorsa preziosa se per ragioni di età o particolari condizioni la chirurgia e determinati farmaci vengono esclusi perché troppo rischiosi

Un’indagine ufficiale dell’Associazione italiana di radioterapia e oncologia clinica (Airo), che ha censito il lavoro svolto in 104 centri italiani durante il 2020, ha messo in luce che, con le sole radiazioni, sono stati trattati a scopo radicale oltre 15mila pazienti oncologici. La ricerca si è focalizzata in particolare sui tumori di testa e collo, prostata, cervice uterina e polmone, per i quali c’è già una vasta esperienza in questo senso.

«Che la radioterapia sia sufficiente a eliminare completamente una neoplasia non è una cosa nuova, ma è ancora poco nota – sottolinea Marcello Mignogna, direttore della Radioterapia Oncologica all’Ospedale San Luca di Lucca -. Come indicano le linee guida internazionali, un trattamento radiante può avere un ruolo cruciale per ogni distretto corporeo e per ogni tumore, sia solido che ematologico. E una sua peculiarità è l’ampiezza della fascia d’età a cui può essere prescritta: dai bambini fino agli ultraottantenni. Con l’avanzare degli anni la chirurgia e certi farmaci vengono esclusi perché troppo rischiosi per il paziente». 

 

Efficace contro molti tipi di tumore diversi

Sicuramente il carcinoma prostatico è al primo posto fra le neoplasie che possono essere curate e guarite soltanto con un trattamento radiante, che viene proposto come alternativa, con minori effetti collaterali, all’intervento chirurgico di prostatectomia radicale quando la malattia è in stadio iniziale, di piccole dimensioni e localizzata, soprattutto negli uomini dopo i 70 anni. «Lo stesso accade per i carcinomi polmonari non a piccole cellule, sempre alle prime fasi, nei quali la radioterapia stereotassica può avere con un ruolo curativo ed equivalente all’operazione che sarebbe troppo demolitiva – continua Mignogna -. E ancora: nei tumori del distretto testa-collo, ad esempio rinofaringe e laringe, o per quelli più rari che colpiscono l’ano le radiazioni sono la prima scelta per eradicare la neoplasia senza usare il bisturi, preservando così il più possibile la funzione dell’organo interessato». All’elenco vanno poi aggiunti quei casi che sono inoperabili per diversi motivi e i tumori del sangue, in particolare i linfomi, dove la radioterapia viene spesso abbinata ai farmaci per eliminare ogni residuo di cellule cancerose. 

Meno accessi in ospedale

L’indagine Airo evidenzia come in Italia sia sempre più predominante l’utilizzo di tecniche e tecnologie innovative e avanzate, come l’intensità modulata (IMRT), impiegata nella quasi totalità delle neoplasie che interessano l’area testa-collo e la prostata. Soprattutto nel carcinoma prostatico, poi, si va diffondendo anche l’ipofrazionamento, cioè un numero minore di sedute con una dose maggiore di radiazioni, che riduce gli accessi in ospedale con gli stessi risultati in termini di efficacia. «Se per molti malati la radioterapia costituisce una valida alternativa all’intervento chirurgico, per altri ancora rappresenta l’unica possibilità di cura — dice Cinzia Iotti, direttore della Radioterapia Oncologica all’AUSL-IRCCS di Reggio Emilia e presidente Airo —. È una disciplina in continua evoluzione: il suo impiego, da sola o abbinata ad altre terapie, inclusi i nuovi farmaci immunoterapici, sta guadagnando settori sempre più ampi, anche nel paziente metastatico a cui un tempo si somministravano solo trattamenti puramente palliativi e che oggi può invece contare su approcci terapeutici molto più ambiziosi, mirati a migliorare la sua attesa di vita». Senza dimenticare che le radiazioni vengono sfruttate anche contro le recidive , ovvero per «ripulire» la zona circostante all’area operata con l’obiettivo di distruggere eventuali cellule cancerose residue e far calare così il rischio che la neoplasia si ripresenti. Una strategia ampiamente in uso, ad esempio, nelle donne con un tumore al seno dopo l’intervento chirurgico. 

Effetti collaterali

Quali sono gli effetti collaterali più frequenti? «La moderna radioterapia riesce a essere molto meno tossica che in passato – risponde Vittorio Donato, a capo del Dipartimento di Oncologia e medicine specialistiche e direttore Divisione di Radioterapia al San Camillo-Forlanini di Roma -. In genere gli effetti collaterali sono oggi legati soltanto al campo d’irradiazione». È possibile, ad esempio, che si verifichi una difficoltà alla deglutizione con bruciore se si irradia il torace, oppure diarrea se i raggi sono diretti all’intestino o un’irritazione della pelle, come avviene di frequente nell’area del seno. I disturbi comunque sono generalmente transitori e possono essere controllati con adeguate cure di supporto. «Infine, è bene ricordare che il paziente non diventa radioattivo e può stare a contatto con familiari e amici senza restrizioni: le radiazioni esercitano la loro azione sui tessuti irradiati principalmente durante l’erogazione dei raggi» conclude Donato.

L’esempio del tumore alla prostata

Con 36mila nuove diagnosi ogni anno, quello alla prostata è il cancro più frequente tra i maschi italiani a partire dai 50 anni d’età. E’ anche la neoplasia su cui è stata raccolta la maggiore quantità di dati sul ruolo decisivo delle radiazioni per puntare alla guarigione definitiva con i minori effetti collaterali possibili. «La letteratura scientifica dimostra che, in termini di sopravvivenza, i risultati del trattamento radiante sono del tutto sovrapponibili a quelli della chirurgia, ma l’impatto in termini di qualità di vita del paziente appare essere a favore delle radiazioni» sottolinea Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata all’Istituto Nazionale Tumori di Milano e professore di Radioterapia all’Università degli Studi milanese. Lo hanno provato ormai molte ricerche anche internazionali: con la radioterapia, soprattutto durante il periodo di cura, possono verificarsi irritazioni del tratto urinario e intestinale e diarrea transitoria, ma l’incontinenza urinaria è pressoché assente e il rischio di disfunzione erettile è più frequente con la chirurgia. «Poiché le percentuali di guarigione del tumore sono uguali, è importante che la scelta tra le due terapie avvenga prendendo in considerazione le possibili conseguenze indesiderate. Sono quindi gli uomini che, soppesando pro e contro di ogni opzione, decidono cosa è meglio per loro» conclude Valdagni.

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